Gramsci odiava gli indifferenti ma non ci avrebbe scritto un post

Claudia Capriotti
4 min readApr 27, 2021

“Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città.”

L’incipit più abusato negli ultimi giorni insieme alle citazioni di Calamandrei, che io Calamand(e)rei tutti affanculo. E non biasimo il citare, io amo citare, io cito come una matta, io alla maturità ho scelto la traccia “citazioni”, io voglio aprire un negozio di citazioni. Però le citazioni stanno bene sulle bocche giuste, un po’ come il rossetto rosso ché non lo puoi mettere sulle labbra sottili.

Certo Gramsci non era un indifferente, lo era così poco che la sua non indifferenza gli è costata la vita. Ora noi siamo qui che non scriviamo lettere dal carcere, ma solo post dal divano, è questa è una differenza anche di contesto che va considerata. Noi siamo qui che dai nostri divani scriviamo cose per illuderci di parlare con qualcuno, avere il riscontro di qualcun altro, sentirci intelligenti; partecipiamo in qualche modo anche così e sì, in qualche modo, anche questo è partecipare. Anche, in qualche modo.

Gramsci non poteva essere indifferente ad alcune cose del suo tempo, non solo per il suo credo politico, la sua granitica morale, la sua cultura e il suo animo profondo e delicato, ma soprattutto perché era dell’Acquario e sappiamo l’Acquario cosa fa con i princìpi. Certo anche noi potremmo non essere indifferenti verso le cose contemporanee che sappiamo, e attualmente ne sappiamo sul mondo molte più di quante potesse saperne Gramsci, e sicuramente non lo siamo molte volte, molti di noi; però ecco che in generale dovremmo smetterla di dire che odiamo gli indifferenti, se esiste la possibilità che la nostra non indifferenza si esprima essenzialmente nei confronti di quello che è solo commentabile su Twitter. No, perché questo dubbio ci deve venire, abbiamo il dovere di non dire cose che non ci assomigliano, a me viene e spesso mi biasimo anche, come risultato. Dio quanto mi biasimo a volte.

Va anche da sé che è più facile non essere indifferenti a quello che succede in Siria che alla vita del nostro dirimpettaio, ma forse solo perché della Siria ci raccontano, e poi la Siria è lontana, è una narrazione, mica la vedi; il dirimpettaio se ci parla di base lo vorresti mandare affanculo, per partito preso. Magari il dirimpettaio invece ha qualcosa da dire, potremmo ascoltarlo e sentirlo, intendo con il cuore, non con le orecchie. Magari la sua storia può riguardare anche noi e altri come noi, molti, tutti. Oppure può essere cosa solo sua, e noi potremmo anche solo parteciparne emotivamente. Che bello sarebbe.

“Indifferenza: Nell’uso com., spesso con tono di biasimo, condizione e comportamento di chi, in determinata circostanza o per abitudine, non mostra interessamento, simpatia, partecipazione affettiva, turbamento e sim. ” (Treccani)

D’accordo, Gramsci probabilmente non faceva un uso proprio comune del termine, ma siccome io non vedo tutti questi partigiani fra noi (tranne l’altro ieri, era così pieno che se fosse stato vero avremmo avuto ancora che so, una Sinistra) direi che noi possiamo valutare questa accezione.
Indifferente [lat. in+differentem, da diffĕrre dividere, distribuire] è colui che non divide, non fa distinzione tra una cosa o l’altra, il bene o il male, non distribuisce l’attenzione.

“Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.”

L’indifferente non fa la differenza con la propria scelta, non parteggia, quindi non è partigiano. Non agisce la propria volontà, è abulico. Non dà peso a una cosa o l’altra, un fatto, una persona, un sentire, non rapporta gli eventi a una morale, è parassita. Non si prende la responsabilità di dire sì o no, non divide una cosa dall’altra e si fa egli stesso differenza, scegliendo, lascia che qualcuno o qualcosa scelga per lui, è vigliacco.
L’indifferente non ha empatia, non è interessato all’altro, non si cura di ciò che è altrui, ciò che non gli è prossimo non lo riguarda. Liliana Segre dice che l’indifferente è pertanto complice del male e dei peggiori misfatti.

Ecco, vorrei solo dire che quando dal divano citiamo nei nostri post la morale degli altri, proviamo a vedere se nella vita siamo indifferenti ad esempio al dolore del vicino (di casa, di posto, di letto), a quello che dice e ci porta. Cerchiamo di capire se siamo capaci di fare la differenza, perché le cose a cui interessarsi e di cui curarsi non sono solo quelle enormi, ma pure quelle piccole. E niente si fa senza avere un po’ di coraggio, anche nel dire: io sono questo, solo questo.

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